Quando ti ritrovi oberata di lavoro e proprio non te l’aspettavi
Quest’anno ho deciso di farmi un grande regalo. Memore delle difficoltà dell’estate scorsa, quando per ragioni di salute sono rimasta a Milano, ho deciso di chiudere lo studio una decina di giorni prima del solito per andare in Toscana a scrivere il mio nuovo libro. Non lo avessi mai fatto!
Da qualche settimana, per essere pronta alla partenza, mi ritrovo chiusa in casa nei week-end, dedicando il mio tempo a lavori, a cui hanno partecipato altre persone, che mi aspettavo diversi. Immaginavo che il mio intervento sarebbe stato semplice, veloce, per nulla faticoso. Credevo che mi sarei trovata a dare il tocco finale a prodotti senza pecche. E che l’avrei fatto cantando (rido). Inutile che ti dica che non è andata esattamente così e che, ancora una volta, la pratica della mindfulness mi ha aiutata moltissimo.
La domanda per quando affronti una difficoltà: Qual è la mia occasione di pratica?
Chi medita sente spesso dire che ogni momento è un’occasione di pratica. Lo si afferma in particolar modo quando ci si trova ad affrontare una difficoltà, e in effetti il solo fatto di fermarci e chiederci Qual è la mia occasione di pratica? è un modo per uscire dalla gabbia dei pensieri ripetitivi in cui la mente spesso ci porta nostro malgrado, e respirare finalmente l’aria fresca che dona un po’ di consapevolezza.
Nel mio caso, credo che l’occasione di pratica consista nel riconoscere l’avversione, il sorgere di sentimenti negativi verso qualcosa o qualcuno. Oppure entrambi. L’avversione può manifestarsi con modi e intensità diverse: un lieve fastidio, una vago sentimento di irritazione, la rabbia verso qualcuno, un attacco di collera, una forma di antipatia, l’invidia, la malevolenza, il sentirsi superiori e l’odio sono tutte forme di avversione. Insieme all’avidità e all’ignoranza, nella pratica buddhista l’avversione è considerata un veleno. Forse perchè è un po’ come una malattia, che causa sofferenza psicofisica non solo a noi stessi ma anche agli altri.
Conoscere l’avversione e le sue potenziali conseguenze negative
Dietro l’avversione, c’è la convinzione che il mondo debba andare come vogliamo noi, e le cose si manifestino, permangano e mutino seguendo il ritmo dei nostri desideri. Anche un bambino sa che è impossibile. Eppure, quando la vita non si piega alle nostre aspettative onnipotenti, è facilissimo dimenticarlo e sentire l’avversione salire nel corpo e prendere possesso della mente . Alzi la mano chi, in balia dell’avversione, ha trascorso la notte insonne e chi, in preda a questo veleno, ha detto o fatto cose di cui poi si è pentito. L‘avversione di un’intera nazione può scatenare una guerra, è per questo che dobbiamo stare molto attenti quando affermiamo che la nostra felicità, o infelicità, dipende dal comportamento di qualcun altro, o di un intero gruppo di persone.
Praticare con l’avversione
Quando sono in preda all’avversione, riconoscerlo mi aiuta molto. A questo proposito, lo psichiatra Dan Siegel usa l’espressione: “Name it to tame it” (“Dagli un nome per domarlo”), a indicare che quando siamo attraversati da emozioni forti, e ci sembra di perdere la testa – è così- dare un nome a ciò che proviamo è un modo per schiacciare il tasto pausa e fermare l’impulsività.
Mi aiuta moltissimo lasciare andare i pensieri e tornare all’esperienza sensoriale di questo momento: respiro, corpo, suoni, ciò che vedono i miei occhi. Ciò che penso potrebbe avere un fondo di verità, ma preferisco non crederci troppo, perchè la mente agitata è menzognera. Di solito, dopo un po’, mi accorgo che tanti barlumi di pensieri che ho avuto durante “un attacco di avversione” non sono nè veri, nè gentili, nè utili. Per nessuno, me stessa inclusa.
Amo anche ricordarmi che tutto cambia, e che pretendere che accada solo alle mie condizioni è davvero molto ingenuo: dovrei vivere da sola sulla Terra, in un mondo senza tempo. Che noia.
Infine, quando mi accorgo che la mente si è calmata, agisco. Le azioni possono assomigliare a oggetti scaraventati con furia in una stanza, dove poi siamo soli in un silenzio assordante, o avere la precisione di gesti che non perdono l’amore.
Buona pratica, Caro