Pratica guidata di self-compassion a partire da 11′ 00″
La mindfulness e l’invito a rilassarci con le cose così come sono
La pratica della mindfulness è un invito a rilassarci con le cose così come sono e, per fortuna, fornisce anche un insieme di strumenti per poterlo fare. Eppure, lo sappiamo tutti, rilassarci con le cose così come sono, anche quando ne potremmo comprendere l’importanza almeno sul piano teorico, non è per nulla facile.
Se ci facciamo coraggio e decidiamo di andare un po’ a fondo, possiamo velocemente accorgerci che la nostra abitudine è di resistere alle cose così come sono, non di rilassarci con esse. Vorremmo che Beatrice o Alessandro cambiassero quell’aspetto del loro carattere che ci infastidisce così tanto, che la pandemia finisse al più presto e avere la certezza che sia per sempre, che gli altri ci dessero ragione e ci capissero alla perfezione, possibilmente senza dover fare troppi sforzi per spiegarci.
E come se tutto questo non bastasse, abbiamo pure a che fare con noi stessi. Le nostre menti e i nostri cuori sono attraversati da pensieri, umori e sentimenti di ogni tipo, a volte questo ci sembra meraviglioso, ma altre faremmo di tutto, ma proprio di tutto, per non sentirlo.
Perché abbiamo paura di essere vulnerabili
L’altro giorno un mio paziente mi raccontava di come sua figlia, durante una conversazione, avesse toccato un argomento delicato per entrambi per poi spostare subito l’attenzione su altro. Commentava che gli era sembrato surreale: “È passata dal dire quella cosa così importante al commentare quanto mi stesse bene il maglione nuovo con una naturalezza assurda”. Qualche minuto dopo, in seduta, ha fatto anche lui la stessa cosa. Parlando di suo padre, si è visibilmente commosso e, velocemente, ha spostato l’attenzione su altro.
Credo che tutti, senza un allenamento che ci aiuti a rilassarci con le cose così come sono (inclusa la nostra umana voglia di scappare) e a vedere che è vantaggioso farlo, veniamo presi dall’impulso a fuggire da noi stessi quando ci sentiamo vulnerabili.
Lo facciamo sia quando siamo da soli, sia in presenza degli altri. Stare con un’emozione difficile può farci molta paura quando crediamo (sbagliandoci) che, toccando il nostro cuore dolente, andremo in pezzi e non ci riprenderemo più. Spesso giudichiamo la nostra sofferenza come un segno di debolezza perché siamo stati educati a pensare che “non bisogna farla lunga” e “bisogna andare avanti”. Può anche esserci un fondo di verità in queste affermazioni, nel senso che crogiolarci nel malessere non ci aiuta di certo a stare meglio, ma questo non significa che la soluzione sia precipitare nell’opposto, negando o reprimendo ciò che sentiamo con la forza.
Rilassati: siamo tutti vulnerabili
Pensare di dovere aver sempre tutto sotto controllo, incluse le nostre emozioni, è molto stancante per la semplice ragione che è impossibile. Tra l’altro, spesso la convinzione di “dover essere forti” si accompagna alla certezza di essere gli unici sfigati sulla faccia della Terra quando forti non ci sentiamo per niente, aggravando con il carico della vergogna e della solitudine un vissuto già difficile e impedendoci di elaborarlo.
Ma come scrive il poeta inglese David Whyte, nella sua Meditazione sulla Vulnerabilità (la trovi qui) che ti leggo per intero prima della pratica guidata di self-compassion:
“La vulnerabilità non è una debolezza, un’indisposizione passeggera, o qualcosa di cui possiamo scegliere di fare a meno. La vulnerabilità non è una scelta, la vulnerabilità fa parte del nostro stato naturale come una sottocorrente continua e immutabile. (…) L’unica scelta che abbiamo quando maturiamo è come abitiamo la nostra vulnerabilità, come diventiamo più grandi e più coraggiosi e più compassionevoli grazie alla nostra intimità con ciò che che si dissolve.”
Buona pratica,
Caro