Autostima e successo
Se vuoi avere successo, dimentica l’autostima. È una frase che mi ha molto colpita, e che ho letto anni fa come titolo ad un articolo di Heidi Grant Halvorson, direttore associato del Motivation Science Center della Columbia University Business School, che lessi sulla Harvard Business Review.
Dimenticare l’autostima per avere successo. Sembra follia pura. E invece no.
Facci caso: se per autostima intendiamo l’idea che dobbiamo sempre sentirci ed essere perfetti per avere successo, finisce che diventiamo schiavi di un’immagine ideale che rischia di farci vivere come se ci crollasse il mondo addosso ogni volta che commettiamo un errore. La conseguenza estrema di un funzionamento come questo è che vedere i nostri sbagli ci fa così paura che finiamo con l’ignorarli.
I danni di un’autostima basata sul perfezionismo
I danni di un’idea di autostima che ci vuole perfetti sono tanti. Penso innanzitutto a una perdita di autenticità che danneggia non solo noi ma anche le nostre relazioni. Convinti di non poter mostrare agli altri le nostre debolezze, li teniamo più o meno consapevolemente a distanza. Persino chi ci vuole bene intuisce di non poterci mai dire la verità per timore di offenderci e rinuncia, nel tempo, a parlarci in modo onesto. Le interazioni si svuotano così del loro potenziale di scambio nutriente e valorizzante.
Nei casi più gravi, il rischio è un’ alterazione dell’esame di realtà che si può manifestare in modo piuttosto subdolo. Forse non ci convinciamo di essere il presidente degli Stati Uniti o la reincarnazione di Giulio Cesare o o di Cleopatra, ma escludiamo dal nostro racconto di noi stessi e del mondo tutte le informazioni che viviamo come minacciosi del nostro bisogno di sentirci perfetti o, fatto ancora più pericoloso, del nostro bisogno di raggiungere l’obiettivo costi quel che costi.
Anche gli psicoterapeuti possono fallire
Mi viene in mente a questo proposito Marta, con cui ho fatto un lavoro di psicoterapia. A un certo punto siamo giunte a uno stallo da cui non siamo più riuscite ad uscire. La richiesta esplicita di Marta era di rimettersi in gioco nella propria vita lavorativa, ma di fatto sabotava ogni aiuto in questo senso da parte di amici, famigliari, conoscenti mettendosi spesso in una posizione di superiorità.
Io stessa ero diventata una sorta di persecutore da tenere a bada riempiendo la seduta di parole di autoelogio per il timore di sentirsi dire qualcosa di diverso. È finita che Marta ha sostenuto di avere una depressione grave che secondo lei io ero colpevole di non avere visto. Ha interrotto la terapia piena di biasimo nei miei confronti, dicendo di essersi già affidata alle cure farmacologiche di uno psichiatra che finalmente l’aveva fatta sentire capita. Anche se mi sembra che sino a un certo punto abbiamo fatto un buon lavoro, non posso certo dire di essere soddisfatta di questa conclusione. Ma è importante sapere che anche gli psicoterapeuti e le psicoterapie possono incontrare il fallimento.
Il potere trasformativo della self-compassion
Quello che avrei voluto e non sono riuscita a trasmettere a Marta è la disponibilità a guardare ai nostri errori e alle nostre mancanze con gentilezza e comprensione. E’ il costrutto della self-compassion, o auto-compassione, tratto dalla psicologia buddhista e valorizzato in anni recenti anche da diversi studi scientifici che ne dimostrano l’importanza per il nostro benessere e per il cambiamento. Ne ho parlato spesso sui social e su questo blog, in diverse occasioni lo abbiamo praticato insieme, e puoi approfondirlo anche leggendo il lavoro di ricerca di Kristin Neff, Christopher Germer, Paul Gilbert e Brene Brown.
La self-compassion è la disponibilità a guardare ai nostri errori e alle nostre mancanze con gentilezza e comprensione. In particolare nei momenti difficili, permette di non giudicarci troppo severamente e al contempo di non chiuderci difensivamente. Ci permette di riconoscere gli errori fatti e di accettare le nostre responsabilità. Ci permette di migliorare. Gli studi dimostrano che essere gentili con noi stessi favorisce la crescita personale attraverso l’accettazione, evitandoci di precipitare nel rimpianto.
Quest’ultimo punto non è banale: essere gentili con noi stessi non significa non avere disciplina, non giudicare non equivale a non discernere, e perdonarsi non significa non impegnarsi per fare meglio o per non ripetere gli stessi errori due volte. Essere gentili vuol dire riconoscere che, come tutti, siamo esposti agli errori e al fallimento. È l’accettazione della nostra umanità che ci permette di non sprecare le nostre energie a rimuginare, ma piuttosto di imparare ciò che va appreso e proseguire meglio equipaggiati.
Pratica la self-compassion oggi
Una dimenticanza, una parola detta male, un piede che inciampa, un’incomprensione, una valutazione errata che si mostra in tutte le sue conseguenze… Oggi, che ci piaccia o meno, saremo imperfetti e sbaglieremo qualcosa.
Possiamo vivere aggrappati con le unghie e con i denti al nostro bisogno di essere migliori degli altri – che nasconde il terrore di essere inferiori e non amati- e fingere di non avere sbagliato, magari cercando colpe esterne. Possiamo lasciare che i nostri errori ci definiscano, e sprofondare in una coltre di giudizi negativi che poi finiscono davvero per offuscare il nostro potenziale. Oppure possiamo fermarci. E riflettere sul fatto che essere perfetti non ci renderà più felici, mentre riconoscere pienamente la nostra umanità potrebbe essere il primo passo per vivere meglio.
Questo è proprio un caldo augurio per iniziare la giornata in modo diverso dal solito..grazie!