Alza la mano se, avendo ripreso la tua routine lavorativa, questa mattina, una parte di te, aprendo gli occhi e pensando alla giornata in ufficio, ha detto: “Noo!!”.
A parte che ci tengo a rassicurarti che non sei solo – o sola- questa constatazione mi porta a parlarti ancora una volta di equanimità, cioè della capacità di sentirci calmi ed equilibrati anche nelle situazioni più difficili.
Preciso subito, a scanso di equivoci, che essere equanimi non vuol dire essere passivi, né coltivare la rassegnazione o l’apatia. Essere equanimi è riconoscere che la vita è piena di sfide, che questo ci riempie di pensieri e di emozioni, e che non dobbiamo per forza farci venire una gastrite o non dormire la notte o fantasticare di lanciare il temperino, o peggio, addosso a qualcuno che ci fa inviperire.
Essere equanimi significa prendere atto di ciò che accade, senza farci portar via dalla corrente dei pensieri e reagire in modo impulsivo, con il risultato che, poi, ci tocca pure gestire il pentimento. Se coltiviamo l’equanimità, possiamo valutare con più chiarezza le situazioni e portare avanti le azioni più adatte, inclusa eventualmente la scelta di non far nulla perché sappiamo che sarebbe controproducente, o energia sprecata.
Ma come si traduce questo sul lavoro? Per esempio nel non lanciarsi in un circolo vizioso di email ostili, nel farsi scivolare addosso le critiche gratuite e, più in generale, nel non ingigantire i problemi. Vuol dire affrontare con più serenità situazioni stressanti come scadenze, gestioni di budget, la precarietà lavorativa o momenti di malattia.
Una volta ho sentito l’insegnante di meditazione Tara Brach definirla come “un cuore pronto a tutto”. Ripeto: un cuore pronto a tutto. Io mi sento più tranquilla e coraggiosa solo a scriverle queste parole. Come ti senti tu a leggerle?
Buona visione, e buona pratica.
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