Inizia oggi #unpilastroallavolta, il progetto da un’idea di Maria Adele Piccardo (aka @meglioadele), insieme a 7 illustratrici che vi sveleremo piano piano (oggi partiamo con Irma Ruggiero aka @irmaillustra) per dedicarci, insieme, all’approfondimento di ognuno dei 7 pilastri della mindfulness secondo Jon Kabat-Zinn. Settimana dopo settimana, anche su Instagram (mi trovi come @semplicecaro), esploreremo le qualità che possono sostenerci nel vivere consapevolmente e come esse possono applicarsi alla nostra esperienza personale. Sia quando le cose vanno alla grande, sia quando… hai presente, no?
Il primo passo per praticare il non giudizio? Conoscerlo
Per coltivare la consapevolezza è bene assumere l’atteggiamento di testimoni imparziali della nostra esperienza ma, se ci fai caso, è decisamente più facile a dirsi che a farsi. Per praticare il non giudizio, il primo passo è renderci conto del costante flusso di reazioni e di giudizi a tutto ciò che accade dentro e fuori di noi.
Non giudizio: come reagisci all’esperienza?
Reagiamo alle sensazioni del corpo. Per esempio, se abbiamo un dolore alla spalla vorremmo liberarcene al più presto e ci chiediamo cosa ne sarà di noi se dovesse perdurare e chi ce l’ha fatto fare di sollevare quella valigia da soli l’altro giorno, avremmo almeno potuto chiedere aiuto ad Alberto! Se, invece, proviamo una sensazione piacevole, vorremmo che durasse ancora un po’ e, in certi casi, stiamo così bene che vorremmo proprio che non finisse mai.
Reagiamo ai pensieri, che altro non sono che sensazioni della mente, stabilendo che alcuni ci piacciono e altri no. I primi li intratteniamo come ospiti graditi servendo persino loro i pasticcini, mentre quelli che non ci piacciono diventano intrusi con cui lottare. Siamo convinti che il presentarsi (o ripresentarsi) di alcuni pensieri sia, certamente, un danno: vuol dire che qualcosa non va con noi, che siamo brutte persone, che non cambieremo mai. Facci caso: la prima domanda che sorge di fronte a un pensiero sgradito è: “Come posso liberarmene?” e non: “Come posso accoglierlo?”.
E poi, ci sono gli ospiti del cuore: le emozioni. Anch’esse giudicate a più non posso, per cui finisce che alcune emozioni ottengono il diritto di cittadinanza, mentre altre vengono respinte, senza concessione di sentimento, nell’illusione che così spariscano. Non è vero che spariscono. Continuano ad abitarci, potenti e oscure, sino a quando non troviamo il coraggio e la gentilezza di fermarci e ascoltare. E, se questo non accade, ecco che ci fanno scacco matto attraverso un sintomo!
Infine, come se tutto questo non bastasse, ogni giorno abbiamo a che fare con ogni genere di situazioni e di persone che non sono prevedibili e che non si manifestano nella nostra vita con l’unico e solo scopo di renderci felici… mannaggia.
Il secondo passo per praticare il non giudizio? Riconoscerlo
L’abitudine a classificare tutto ciò di cui facciamo esperienza in base al criterio: “mi piace”/”non mi piace” determina una miriade di reazioni interiori di cui non ci rendiamo conto, che spesso non hanno alcun fondamento e ci impediscono di sperimentare un po’ di pace interiore.
Osserva la frequenza con cui il giudizio si manifesta nella mente
Nei prossimi dieci minuti, osserva quante volte sorge in te il giudizio: “mi piace”/ “non mi piace” rispetto alla tua esperienza interna (sensazioni fisiche, pensieri, emozioni) ed esterna (situazioni e persone).
Quando ti accorgi dell’attività della mente giudicante, non complicare le cose giudicandoti perché giudichi, ma semplicemente osserva.
Congratulati con te stesso per esserti accorto della tua mente giudicante all’opera, e senti il respiro. Nel tuo respiro non c’è giudizio, ma solo vita che scorre, fiduciosa in sè stessa, senza bisogno di commento.
Se vuoi accompagnare questa osservazione con una pratica formale, ti consiglio il mindful check-in che trovi tra gli audio di “Mente Calma Cuore Aperto”.
Per sostenere la tua capacità di lasciare andare i pensieri e tornare al respiro, è ovviamente consigliatissima la meditazione sul respiro.
Infine, se ti critichi spesso, prova con una mano sul cuore nella pratica della self-compassion.