Non so se siete tutti al corrente del fatto che all’inizio di quest’anno è uscita, pubblicata sulla prestigiosissima PlosOne e successivamente segnalata anche sul Corriere Innovazione, una ricerca internazionale coordinata da Alessandro Grecucci, Remo Job e Nicola De Pisapia, ricercatori presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento, che ha dimostrato per la prima volta che praticare mindfulness, con il suo invito a osservare la nostra vita emotiva senza affrettarci a criticare ciò che proviamo, può migliorare la nostra capacità di gestire le emozioni e le nostre relazioni con gli altri.
Presa da entusiasmo per questo meraviglioso prodotto italiano, qualche settimana fa ho contattato Nicola De Pisapia, che oltre a svolgere attività di ricerca è anche co-fondatore di Neocogita, un’azienda che si occupa di rendere le nostre menti ancora più brillanti attraverso gli strumenti e le proposte più aggiornate della ricerca neurocognitiva.
Una chiacchiera tira l’altra, e alla fine abbiamo pensato che potesse essere una buona idea fare a Nicola una piccola intervista per condividere con voi alcuni degli elementi fondamentali di questa ricerca, e in che modo sono rilevanti per le nostre vite. A partire dalla nostra abitudine a portare l’attenzione lontana da questo momento.
Cosa è il mind-wandering?
Comprendere cosa sia il mind-wandering è molto utile per capire la mindfulness. Si tratta di un termine inglese che potrebbe essere tradotto con: vagare con la mente. Per intenderci, mind-wandering è il quotidiano e ordinario distrarci da ciò che stiamo facendo: il sognare ad occhi aperti, il proiettarci nel futuro cercando di anticipare qualcosa che faremo, il rivivere scene passate, il monologo interiore, la conversazione immaginaria con qualcuno. Mind-wandering è dunque la nostra vita mentale, il “film” che ci scorre in testa quando non siamo concentrati con i nostri sensi in un compito che coinvolge pienamente la nostra attenzione.
Quanto tempo trascorriamo in uno stato di mind-wandering nella nostra vita quotidiana?
Secondo gli studi più recenti, quasi la metà della nostra vita mentale quando siamo svegli è spesa in uno stato di mind-wandering, che coinvolge le aree cerebrali della “rete cerebrale di default”, composta da alcuni nodi cerebrali molto estesi, come ad esempio il mediale prefrontale (subito dietro il centro della fronte) e il posteriore cingolato (nella parte interna sul retro della testa).
Comprendere i meccanismi cognitivi e le basi neuronali del mind-wandering può aiutarci a comprendere anche come funziona la mindfulness, dal momento che l’allenamento mentale che ha luogo durante questa pratica altro non è che un metodo per diminuire il mind-wandering.
Puoi spiegarmi cosa è la mindfulness dal punto di vista neuroscientifico?
Per mindfulness s’intende essenzialmente l’insieme di due componenti. La prima componente riguarda l’auto-regolazione dell’attenzione, che viene mantenuta sull’esperienza immediata aumentando in questo modo la consapevolezza degli eventi mentali nel momento presente. La seconda componente coinvolge l’adozione di un orientamento verso le proprie esperienze caratterizzato da accettazione, curiosità e apertura.
Queste componenti in ambito scientifico sono intese sia come tratti della personalità, e quindi per intenderci come aspetti che possono già far parte del nostro carattere anche se non abbiamo mai praticato mindfulness, ma anche come qualità che possiamo migliorare tramite alcune specifiche tecniche di meditazione, come ad esempio la focalizzazione sul respiro.
Come la mindfulness agisce sull’attività cerebrale?
Nelle persone che sono più mindful, e che lo sono o per attitudine personale o perché si allenano attraverso le tecniche meditative della mindfulness, si riscontra una minore attività cerebrale nella rete cerebrale di default, che citavo prima come sostrato neuronale del mind-wandering. Ecco perché capire il mind-wandering – o chiacchiericcio mentale, come mi piace chiamarlo- aiuta a comprendere meglio la mindfulness: sono una l’opposto dell’altro! La mindfulness è la tendenza a focalizzarsi, il mind-wandering è la tendenza a distrarsi.
E quindi come è una persona mindful dal punto di vista scientifico?
Una persona mindful è una persona che ha maggiore consapevolezza delle proprie emozioni e reazioni psicofisiche, includendo anche la risposta da stress. La persona mindful è più attenta al presente, controlla la tendenza alla distrazione, tende a mantenere i suoi obiettivi, ha una scarsa tendenza al rimuginio sul passato o alle preoccupazioni per il futuro.
Questa definizione non coinvolge dunque la dimensione della gentilezza amorevole e della compassione?
Il termine mindfulness viene utilizzato in ambito scientifico per riferirsi alle specifiche tecniche di meditazione di cui abbiamo parlato finora, quelle cioè in cui si allena principalmente l’attenzione su un target specifico (ad esempio sul respiro). In questo tipo di allenamento non vi è dunque il diretto obiettivo di allenare aspetti emotivi.
Quando parliamo più in generale di meditazione facciamo invece riferimento a svariate tecniche di allenamento mentale, che vanno oltre il solo allenamento dell’attenzione. La meditazione che coinvolge più direttamente la compassione e la gentilezza è la “compassion meditation” (detta anche “loving kindness meditation”, o “mettā bhāvanā” nella tradizione buddista). In questa forma di training mentale sono probabilmente coinvolti meccanismi cerebrali in parte diversi da quelli di cui abbiamo parlato finora.
Queste altre forme di meditazione sono solo di recente divenute oggetto di studio scientifico, per cui non emerge ancora un chiaro modello neurocognitivo come per la mindfulness.
Il vostro studio ha rilevato gli evidenti benefici, in termini di regolazione emotiva, per chi pratica mindfulness, e il valore che questa pratica può avere nel contrastare alcuni fra i disturbi psicopatologici più diffusi nella società occidentale. Puoi dirmi qualcosa in più su questo?
Con Alessandro Grecucci e Remo Job e altri colleghi del dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento ci siamo chiesti: quali sono i processi attraverso cui la mindfulness regola le nostre emozioni? Questa tecnica può essere applicata alle emozioni sociali, cioè a quelle emozioni che nascono nelle nostre relazioni con gli altri? Praticare mindfulness può cambiare il nostro comportamento nei confronti degli altri?
I risultati hanno mostrato come la mindfulness alteri la percezione soggettiva e fisiologica di queste emozioni interpersonali e agisca modificando in positivo anche l’interazione nel comportamento sociale degli individui.
Per esempio in chi pratica mindfulness la propensione a vendicarsi di un torto subito è minore. Inoltre le situazioni che in partenza possono apparire negative tendono ad essere reinterpretate dalle persone mindful in modo tale che l’aspetto negativo si riduce, e ci si focalizza di più sugli aspetti positivi e sulla risoluzione del problema.
Quali sono gli altri studi importanti in corso e di cosa si stanno occupando?
Nei nostri laboratori all’Università di Trento abbiamo individuato come le persone meno mindful abbiano le aree cerebrali dello stress e dell’ansia, in particolare l’amigdala e alcune aree della rete cerebrale di default, più sviluppate ed estese rispetto alle persone che invece sono più mindful.
In altri laboratori neuroscientifici del mondo la ricerca sulla mindfulness – sia come tratto della personalità che come training mentale – è molto attiva. I risultati sono molto incoraggianti per la costruzione di protocolli che possano permettere alle persone di aumentare il loro benessere.
Che cosa consiglieresti ai lettori di Semplicemente Mindfulness che volessero approfondire questo argomento?
Se i lettori di Semplicemente Mindfulness volessero esplorare il web su questo tema, consiglio di tenere d’occhio il lavoro di ricerca che si svolge presso i laboratori di Richard Davidson alla University of Wisconsin Madison, oppure i laboratori di Amishi P. Jha, Professore presso la University of Miami.
Bellissimo. Grazie ancora una volta per queste cose così interessanti che pubblichi. Non avevo idea che anche in Italia si facesse ricerca in questo campo. Poco tempo fa ho letto il libro “La vita emotiva del cervello”, di Richard Davidson, il neuro scienziato di cui si parla alla fine dell’intervista. È un libro affascinante e alla portata di tutti (nel senso che è facile da capire e scritto in modo molto coinvolgente). Mentre non conoscevo l’altro studioso citato. Approfondirò senz’altro. Sono molto appassionata di questi temi 🙂
Ciao Marina, grazie a te! Anche io apprezzo molto la capacità divulgativa di Richard Davidson e ti ringrazioe per la segnalazione del libro. Buona giornata!
Molto interessante… Vorrei approfondire…
Ciao Marco! Inizierei dai link suggeriti da Nicola, visiterei anche il sito di Neocogita, e se vuoi iniziare a praticare mindfulness qui in Semplicemente Spazio potresti iniziare a dare un’occhiata alla pagina proposte. Buona serata!
Fantastico sto facendo ora il corso MBSR
Grazie Giuliana, sono contenta che tu abbia apprezzato la conversazione con Nicola! Buona pratica allora! 🙂