Se non puoi lasciare andare, lascia essere.
Ricordo di aver sentito per la prima volta questa frase pronunciata da Jon Kabat-Zinn nel 2009, e di averlo ascoltato con molto sollievo mentre spiegava non solo che lasciare andare non è una forma di disinteresse, ma anche che farlo non è sempre possibile.
Aggiungo che lasciare andare, ovvero la scelta di non farci travolgere dai pensieri intorno a qualcosa che ci eccita o ci disturba riportando l’attenzione al presente, non è per nulla facile – non a caso ci si allena. Non è banale lasciare andare un torto subito, una delusione, una storia d’amore finita quando non eravamo pronti a chiuderla, così come non lo è lasciare andare una fantasia piacevole, in cui Marco o Lucia, in un tempo che non è questo, renderanno più eccitante, felice o sicura la nostra vita.
Per quel che mi riguarda, posso dirvi che negli ultimi mesi ho fatto e faccio tuttora fatica a lasciare andare l’ansia circa le condizioni di salute del mio occhio sinistro. Faccio gli incubi la notte: l’altro giorno ho sognato che uno dei medici del team di chirurgia vitreoretinica da cui sono in cura si aggirava per casa dicendomi che dovevano operarmi al più presto e, sempre nel sogno, cercavo “scuse” per non finire sotto ai ferri. Non di rado, mi sveglio affaticata e malinconica.
D’altronde, come dice la mia amica Sarah, le paure richiedono tempi più lunghi nella pancia che nella testa e, aggiungo io, la pancia va rispettata.
Cosa faccio quando mi sveglio inquieta e triste dopo un brutto sogno? Lascio andare ciò che posso, lascio essere ciò resta.
Lascio andare l’idea di dover scacciare il malumore a tutti costi, insieme all’aspettativa di doverlo fare in fretta. Se cercassi di liberarmene in modo forzato, l’umor nero prima o poi tornerebbe a invadermi e finirei con il sentirmi esausta o fallita.
Lascio andare la tentazione di indugiare nel passato, i discorsi che iniziano con “Se solo…”, e “Perché?”. Non cerco ragioni, oltre a quelle che mi paiono evidenti, altrimenti la mia mente finirebbe con l’essere stritolata da troppi pensieri.
Soprattutto, non mi giudico per come mi sento. Ciò che provo non è un diritto, non è un dovere, non è né giusto né sbagliato: è quello che provo. E’ quello che è, in questo momento, e ha tutta la sua dignità di esistere. Lascio essere.
Ieri, un amico mi ha chiamata per sapere come sto. Ho risposto: “Piuttosto nevrotica, ma me ne prendo cura”. Ho sorriso. Perché vedi, meditando mi sono convinta, per esperienza diretta, che esiste in ognuno di noi una parte saggia, che possiamo contattare facendo pace con questo momento, anche quando vorremmo che fosse diverso. Solo così la gentilezza può prenderci per mano, e le giornate iniziate con il cuore pesante si fanno, piano piano, più leggere.
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