Testimonianze
Partecipare al programma MBSR mi ha permesso di stare in compagnia di me stesso in tanti momenti della giornata, dopo un periodo in cui, a causa dello stress, di me avevo finito un po’ con il dimenticarmi (e con me stesso, in qualche caso, avevo anche iniziato a dimenticarmi un po’ degli altri).
Praticare mindfulness mi ha aiutato ad essere più concentrato e sereno. Ho scoperto l’arte di fare ritorno a questo momento, sia quando parlo con mia moglie, sia quando mi occupo di un progetto importante.
Sono trascorsi ormai quattro mesi dalla conclusione del programma, e continuo a sentirmi leggero, meno teso e angosciato, capace di lasciare andare pensieri inutilmente stressanti. Ancora oggi, mi dedico con piacere e dedizione alla pratica formale, e ogni volta mi sento meglio.
Grazie tante Carolina per avere condiviso con me questa esperienza.
Credo che ciò che dovrebbe sapere chi si accosta al programma MBSR è quanto, nella sua semplicità e immediatezza, questo percorso ci guidi in modo pratico, e con effetti molto più immediati di quanto avessi immaginato, ad imparare a vivere il presente, percependone la ricchezza sia nei momenti più facili sia, e non lo credevo, in quelli più difficili. Mai come attraverso questo percorso mi è stato chiaro ciò che dice Confucio, e cioè che tutti abbiamo due vite, e la seconda comincia quando scopriamo di averne una sola!
Per ciò che riguarda i benefici, sono affetto da ipertensione arteriosa e posso confermare, in accordo con la letteratura scientifica, una diminuzione della pressione arteriosa al punto tale che ho potuto ridurre il dosaggio di uno dei farmaci che assumo. Avverto inoltre un maggior capacità di stare con le emozioni senza farmi travolgere, con una conseguenza diminuzione dell’ansia in relazione ai fatti quotidiani.
Ultimamente, a causa di una brutta caduta, mi sono fratturato un gomito. Praticare mindfulness mi sta sostenendo molto nell’affrontare il dolore e le difficoltà quotidiane correlate alla temporanea inabilità funzionale con cui dovrò fare i conti ancora per un po’.
Il percorso MBSR per me è stato una guida per diventare consapevole di come a volte, se non spesso, sono vittima dei miei pensieri.
Sicuramente la mia capacità di stare con le emozioni senza esserne travolta è migliorata, e soprattutto mi vivo con più leggerezza… non sempre quello che penso è degno di nota, ma può essere lasciato andare.
Quando ho deciso di iscrivermi al protocollo MBSR, sapevo che la mindfulness (così come viene insegnata nell’MBSR) era nata in origine per migliorare la qualità di vita delle persone con dolori cronici. A questa informazione, tuttavia, non ho fatto caso più di tanto. Il dolore fisico non è mai stato un problema, lo sopporto bene… Insomma, abbastanza bene. In ogni caso, per fortuna non so che cosa voglia dire convivere con una malattia invalidante.
Senonché… La scorsa primavera ho avuto un episodio di stomatite. E poi un altro. E un altro ancora. Alla fine ho perso il conto. Certo, nessuno è mai morto per una stomatite né la si può definire una malattia invalidante. In compenso, però, può essere un’esperienza molto, molto dolorosa. Ricordo in particolare un mattino in cui anche solo bere un frullato è stato atroce.
Beh, quel famoso mattino, arrivata in Semplicemente Spazio, ho scoperto che uno degli esercizi in programma era mangiare consapevolmente. Panico. Dove mi avrebbe portato mangiare con presenza mentale se già farlo con la testa rigorosamente sotto la sabbia faceva un male cane? Nel vano tentativo di sfuggire al dolore avevo infatti trasformato i pasti in una sorta di momento mindless, il momento principe in cui non-esserci. Se dovessi fare un paragone, direi che era come tentare di correre senza appoggiare i piedi per terra (inutile dire che non mi ha portato da nessuna parte, azzerando per giunta tutto il resto).
Non posso dire di non avere esitato, ma a quelle alture non avevo più niente da perdere. E così, alla fine, ho scelto di mangiare con consapevolezza. A distanza di pochi mesi non so dire se mi abbia fatto più o meno male, o se il dolore sia rimasto uguale (probabilmente sono successe tutte e tre le cose in momenti diversi). Quel che so con certezza è che tutto il resto ha smesso di essere uno zero: in mezzo al dolore mi arrivava dell’altro – schegge di sapore e, con il sapore, il piacere. All’improvviso ho sentito che, per quanto fosse sgradevole e dolorosa, potevo stare con la mia stomatite senza per questo morirne e, anzi, che potevo godermi quel che c’era da godersi – il cibo. E niente, per me è stata una rivelazione.
Se ora mi guardo indietro, vedo che è successa più o meno la stessa cosa anche sul piano non fisico, solo in modo più sottile. Quando mi ritrovo a rimuginare, saltando da una costruzione mentale all’altra senza via d’uscita, tento di ancorarmi al respiro. «Inspiro, espiro. Inspiro e sono consapevole di inspirare, espiro e sono consapevole di espirare…». Nel momento in cui lo faccio, alzo gli occhi da terra e (quasi) immancabilmente vedo qualcosa – a volte anche «solo» un taglio di luce che non opprime ma eleva. (E non è che quel qualcosa prima non ci fosse, semplicemente io non lo vedevo.) Può sembrare poco, ma in realtà è tantissimo. E, soprattutto, interrompe un vortice di pensieri negativi che non sono nemmeno la realtà. Quel poco basta per fare spazio ad altro.
A questo proposito Brené Brown dice una cosa che sento molto vera, e cioè che non possiamo escludere quello che ci fa star male senza compromettere la nostra capacità di sentire quello che ci fa star bene («numbing vulnerability is especially debilitating because it doesn’t just deaden the pain of our difficult experiences; numbing vulnerability also dulls our experience of love, joy, belonging, creativity, and empathy. We can’t selectively numb emotions. Numb the dark and you numb the light»*). Ecco, la mindfulness per me è un modo per dis-anestetizzarmi e per sentire quello che c’è, tutto quello che c’è.
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* Brené Brown, Daring Greatly: How the Courage to Be Vulnerable Transforms the Way We Live, Love, Parent, and Lead, Portfolio Penguin, 2013, Kindle Edition.
Fare amicizia con se stessi, imparare ad amarsi, a piacersi, ad accettarsi, così come si è. “Non più belli, più performanti, più intelligenti, più pazienti, più razionali, più brillanti…ma esattamente così come sì è”. Impresa impossibile?
Esperienza possibilissima e vivibilissima, in tutta la sua forza e bellezza. E’ stato questo il principale regalo arrivatomi assieme al programma MBSR, sperimentato con Carolina in Semplicemente Spazio.
Avevo deciso di frequentare il programma sulla riduzione dello stress attraverso la mindfulness (“MBSR”, appunto) perché speravo di ritagliarmi un spazio “lento e rilassante” tutto per me, facendo una pausa rispetto al (duro) tran tran quotidiano, fatto di impegni, orari da rispettare, responsabilità lavorative e genitoriali, in cui la “domanda” che il mondo esterno mi faceva, in termini di prestanza fisica e psicologica, resistenza, pazienza, coraggio, diventava sempre più impellente.
Ma non solo. Iscrivendomi al programma MBSR, speravo si realizzasse ciò che indirettamente mi prometteva la lettura dei libri di Jon Kabat Zinn, avvenuta qualche anno prima. E cioè imparare a “stare” anche con le sensazioni/emozioni che solitamente classifichiamo immediatamente come negative: dolore (fisico), sofferenza (psichica), rabbia, delusione, stanchezza, paura e chi più ne ha più ne metta. Quelle sensazioni che tutti prima o poi attraversiamo o viviamo, insomma, e dalle quali istintivamente cerchiamo subito di liberarci, agendo e reagendo spesso impulsivamente, senza aver chiaro il quadro, la “visione” complessiva delle cose, in questa urgenza di tornare subito a controllare e a dirigere l’andamento della nostra vita secondo i nostri (presunti buoni) piani o le nostre perenni aspettative. Speravo in questo modo anche di diventare una mamma migliore, ancora più forte e paziente. Chissà, mi immaginavo, magari anche un po’ più “zen” davanti alla mia piccola che rovescia un’intera bottiglia di succo di frutta sul divano o riesce a scovare la mia trousse dei trucchi facendone ampiamente e allegramente uso su di lei (alla tenera età di due anni e mezzo) e su tutti i suoi pupazzi (certamente rimarrò serena e impassibile, mi dicevo!).
Non sono diventata “zen”. Ma ho ottenuto molto, molto di più. Ho imparato ad accettare anche le emozioni spiacevoli, nel momento in cui si presentano, come emozioni, appunto, passeggere, che hanno una loro dignità e senso, e che tuttavia, spessissimo, non sono la “verità” assoluta. Ma solo un modo di vedere, anzi di “pensare” cose e situazioni in un determinato momento. Modi di pensare e di vedere come tanti altri ve ne sono, e che vanno solo scoperti. Con pazienza. Imparando a fermarsi, a respirare, ad ancorarsi al corpo e al respiro e a darsi la chance di comprendere che le emozioni e i pensieri esistono e fanno il loro cammino, ma noi siamo anche altro.
Basta solo non dare alla mente tutta l’importanza che solitamente essa vuol prendersi. Imparando anche a ribaltare convinzioni granitiche e idee consolidate a vantaggio di una visione più aperta, gentile, equanime di tutto ciò che ci circonda e ci accade in un determinato momento. Dando tempo al tempo. E regalandosi ogni giorno un po’ di tempo.
Mi sono fatta, intanto, una nuova amica (oltre alle 13 persone con cui ho fatto il corso e a Carolina): me stessa.